My Life

My Life

Con l’album d’esordio What’s the 411?, una Mary J. Blige in rampa di lancio aveva infuso in uno stile diaristico di stampo R&B la sensibilità giovanile tipica dell’hip-hop. Nel 1994, col successivo My Life, la 23enne si addentrava in territori ancora più personali, confrontandosi con la depressione, con le difficoltà legate alle droghe e all’alcool, le esperienze di violenza domestica e le sofferenze amorose, mettendo in risalto la forza spirituale che le aveva consentito di tirare avanti. Il tutto mentre cercava di elaborare le tappe del fulmineo percorso che l’aveva portata dalle case popolari alla fama planetaria. Membro del team di produzione Hitmen, associato alla Bad Boy Records, Chucky Thompson è l’artefice di beat che fondono campionamenti funk e suggestioni di strada, mentre Blige aggiunge una dose di grazia e grinta che affonda le radici nel gospel. L’apice di questa estetica è rintracciabile nella sublime ‘My Life’, in cui il senso di malinconia e speranza si dispiega intorno a un sample di ‘Everybody Loves the Sunshine’ di Roy Ayers. Le intenzioni profonde dell’album si rivelano però soprattutto nella traccia finale ‘Be Happy’, dove l’artista intona “All I really want is to be happy, I don’t wanna have to worry about nothin’ no more” [“Tutto ciò che desidero davvero è essere felice, non voglio più dovermi preoccupare di niente”] sopra una linea di basso presa in prestito da ‘You’re so Good to Me’ di Curtis Mayfield.

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