C’è chi accusa il pop di non essere autentico. Ma per Lady Gaga l’obiettivo è proprio la non autenticità. Nel corso del ventunesimo secolo, nessun artista è riuscito a incarnare questa provocazione meglio di Stefani Joanne Angelina Germanotta. Mai vincolata alla stessa immagine (basti pensare al vestito di carne cruda indossato in occasione dei VMA di MTV o al cappotto fatto di pupazzi di Kermit la Rana, sfoggiato sugli schermi della TV tedesca), Gaga impersona e sovverte allo stesso tempo le ossessioni superficiali del pop. La sua identità creativa si definisce all’età di 21 anni, dopo essere stata una pianista, un’aspirante attrice e una ballerina di burlesque. Tutte queste sfaccettature hanno contribuito ad esaltarne gli elementi più distintivi della sua personalità: il fascino per la celebrità in The Fame del 2008 e The Fame Monster del 2009, le stratificazioni sovversive di Born This Way e ARTPOP, usciti rispettivamente nel 2011 e nel 2013, la sincera riverenza di Cheek to Cheek, album di standard jazz pubblicato nel 2014 insieme a Tony Bennet, e il songwriting più tradizionale messo in mostra nel 2016 con Joanne. Se nel 2009 ‘Paparazzi’ brillava di un bagliore sfavillante, qualche anno dopo, ‘Born This Way’ celebrava la luce interiore. Nel tradurre la sua identità diffusa in arte, Gaga è diventata un faro per chiunque si senta un outsider. Nonostante abbia abbracciato la mutevolezza del pop e adottato un look camaleontico, i fedeli seguaci che rispondono al nome di Little Monsters hanno stabilito un legame profondo con il suo messaggio: un invito ad amare sé stessi e a lasciare libero sfogo alla propria personalità. Nel remake del 2018 di A Star Is Born, ha interpretato una versione semplificata del suo percorso verso il successo, ma mentre l’ascesa della protagonista del film è stata favorita dal suo compagno, Gaga ha fatto tutto con le sue forze.