Se l’onda del cantautorap in Italia ha assunto a un tratto le proporzioni di uno tsunami, parte del merito va a Coez. Conosciuto nell’ambiente dell’hip-hop romano già all’epoca delle scuole medie con la sua tag, l’MC passa dalla sfera dei graffiti a quella delle rime e si ritrova presto coinvolto nell’avventura boom bap della crew Brokenspeakers, alla quale affianca i primi tentativi solisti di declinare la sua scrittura in maniera melodica. Con il decisivo contributo di Riccardo Sinigallia, Non erano fiori presenta nel 2013 una versione inedita dell’artista, impegnato ad analizzare una rottura attraverso un’orecchiabile leggerezza che lascia intravedere il disegno di un crossover tra pop e rap, destinato a dilagare quattro anni più tardi con Faccio un casino. L’album inaugura il sodalizio con uno specialista della confluenza tra indie e mainstream come Niccolò Contessa de I Cani, ideatore di un sound ibrido perfetto per il bipolarismo artistico autodiagnosticato da quello che ormai è a tutti gli effetti un cantante, diviso tra ballate romantiche e richiami alla scena di provenienza, qui incarnata da Gemitaiz, Gemello e Lucci. Il legame con le origini è certificato dai continui camei tra i versi e i beat degli ex-colleghi, dove il maestro del ritornello mette a disposizione il talento per l’immediatezza confermato nel 2019 con la deriva minimale di È sempre bello.