KIWANUKA

KIWANUKA

Michael Kiwanuka non ha mai dato l’impressione di essere tipo da chiamare un album col proprio nome. Sicuramente nessuno si aspettava che avrebbe raddoppiato questo apparente carico di autostima commissionando un regale autoritratto da usare come copertina. Dopotutto, stiamo parlando del cantautore che, invitato a partecipare alle sessioni di Yeezus di Kanye West, è sgattaiolato fuori in silenzio, vittima della sindrome dell’impostore. Il senso di insicurezza lo avvolgeva già prima che Home Again, il suo debutto del 2012, ottenesse la nomination al Mercury Prize. “È un pensiero irrazionale ma l’ho sempre avuto”, racconta ad Apple Music. “Mantiene in costante allerta, ma stava anche diventando frustrante. Era qualcosa del tipo ‘Voglio solo essere in grado di farlo senza preoccuparmi in questo modo e avere fiducia in quello che sono come artista’”. Il concetto di identità lo ha inoltre portato a riflettere su come gli artisti creino delle maschere sul palco o sui social media che finiscono per oscurare quello che sono realmente. Questo gli ha offerto l’ispirazione per intitolare il terzo disco KIWANUKA, come dimostrazione di ciò che lui definisce un “anti-alter-ego”. “È quasi una dichiarazione a me stesso”, spiega. “Voglio essere capace di dire che, con la pioggia o con il sole, questo sono io. Alle persone può piacere o no. Va bene. Almeno sanno chi è davvero Michael Kiwanuka”. Anche se era già noto per essere un cantante e un autore dotatissimo, con KIWANUKA l’inglese rivela nuovi livelli di inventiva e di ambizione. Già coinvolti nel 2016 in Love & Hate, Danger Mouse e il producer britannico Inflo siedono in cabina di regia, contribuendo a canzoni che spingono ulteriormente la sua miscela invecchiata di soul e folk nella psichedelia, nel fuzz rock e nel chamber pop. Qui, il protagonista di questa avventura ci accompagna in un viaggio tra i pezzi del disco. You Ain’t the Problem “‘You Ain’t the Problem’ è una celebrazione, un’espressione del mio amore per gli esseri umani. Spesso dimentichiamo quanto siamo straordinari. Con tutti i loro filtri per nascondere cose che riteniamo inadatte o che immaginiamo non piaceranno alla gente, i social media sono una delle cause. Cominci a pensare che ci sia qualcosa di sbagliato in te e che essere te stesso e ciò per cui sei nato possa essere un problema. Io volevo scrivere una canzone che dicesse ‘Non sei tu il problema. Devi solo continuare a essere ancora più te stesso, ad andarti dentro ancora più in profondità’. È da qui che arriva la magia. Ed è esattamente all’opposto di eliminare delle parti e di cercare di erodere quello che fa di te ciò che sei”. Rolling “‘Rolling with the times, don’t be late’ [‘Adattarsi ai tempi, non essere in ritardo’]. Credo che ogni cosa, per me, riguardi il fatto di essere un artista. Stavo ancora cercando il mio posto ma si possono fare cose per assicurarsi di inserirsi o di essere al passo con tutto ciò che succede, magari postando materiale online o rimanendo aggiornati sugli album più fighi, per sapere cosa può andare bene. Oppure può semplicemente capitare che la gente rimanga sconcertata del fatto che tu sia nel pieno dei 30 anni, senza esserti ancora sposato né avere avuto figli. ‘Stare al passo coi tempi’ è andare al proprio ritmo. Nella mia testa c’erano i dischi dei primi Stooges e una versione con sonorità fuzz di quelli francesi di artisti come Serge Gainsbourg. Volevo fare una canzone che avesse quest’aura un po’ pazza”. I’ve Been Dazed “Eddie Hazel dei Funkadelic è il mio chitarrista preferito. Questo pezzo ha accordi maestosi perché lui li ha sempre usati nelle canzoni che ha scritto. È venuto fuori quasi come un inno. Dal punto di vista del testo, perché ha questo senso di malinconia. Il cantato parla di svegliarsi dall’incubo di seguire i passi di qualcun altro o di sottovalutarsi, della bassa autostima: tutte le cose alle quali ‘You Ain't the Problem’ si contrappone. Lo spirito è ‘Sono stato in questa specie di brutto sogno, voglio solo uscirne, sono pronto ad andare’”. Piano Joint (This Kind of Love) [Intro] “Da adolescente, volevo solo fuggire in alcuni album, come se potessi teletrasportarmi via dalla vita e andare nel mondo di quella persona. Ambivo davvero a raggiungere una sensazione di questo tipo nel disco. Era così vivido, non c’era possibilità di uscirne, nessuna discontinuità tra le canzoni, come se fosse un unico lungo pezzo. Certe canzoni fluiscono nella successiva ma altre avevano bisogno di interludi come passaggi. Questa intro è nata mentre io stavo suonando il basso e [Inflo] il piano e ho cominciato a cantare la mia idea di un tipico brano soul di Marvin Gaye, un pezzo profondo, scuro e malinconico di uno dei suoi dischi anni ’70. Poi Danger Mouse ha avuto l’illuminazione: ‘Perché non provi ad abbassare la tonalità in modo che suoni diversa?’”. Piano Joint (This Kind of Love) “Mi sono sempre piaciute le canzoni d’amore melancoliche: più è triste, più felice sono dopo. Questo è stato il momento di mettere davvero alla prova quella parte di me. In origine, doveva essere una ballata al piano, poi mi sono detto che forse avremmo dovuto tentare di metterci delle batterie. Inflo è un ottimo batterista. Quindi, sono andato in studio e ho suonato il basso con lui. E sembrava fantastico. Avevo in testa l’East Coast soul degli anni ’70 alla Gil Scott-Heron. In seguito, abbiamo lavorato con questa strepitosa arrangiatrice, Rosie Danvers, che si era occupata di quasi tutti gli archi nell’ultimo album. Le ho detto ‘È la mia canzone preferita. Fai qualcosa di super bello’. E lei ha spaccato”. Another Human Being “Ci stavamo occupando degli interludi e Danger Mouse aveva trovato un sacco di sample. Questo era un notiziario [sui sit-in di protesta degli anni ’60 per i diritti civili negli Stati Uniti]. Ricordo di aver pensato ‘È pazzesco, si infila perfettamente in ‘Living in Denial’. Cambia la canzone’. E, sì, ancora una volta, sono ossessionato dagli anni ’70. Ma è innegabile che, insieme ai ’60, siano stati un periodo decisivo per i neri e le nere d’America. Questo elemento ha dato spessore al disco. Tocca l’identità e qualcosa che ha a che fare con me, col nome che porto e con quello che sono. Mi dà molta fiducia per continuare a essere me stesso”. Living in Denial “Questo è il modo in cui Inflo, Danger Mouse e io suoniamo quando siamo completamente noi stessi e connessi nella giusta maniera. Zero discussioni, lascia semplicemente che accada, non pensarci. Stavo cercando di essere un gruppo soul, sul modello di The Delfonics, The Isley Brothers, The Temptations, The Chambers Brothers. Ancora una volta, le parole riguardano quella tematica della ricerca di approvazione: non hai bisogno di inseguirla. Accetta quello che sei e chiunque voglia stare con te farà altrettanto”. Hero (Intro) “‘Hero’ è stata l’ultima canzone a essere completata. Quando ha iniziato ad avere un buon sound, ero seduto a suonare con la mia chitarra acustica. Avevamo fatto l’intro di ‘Piano Joint’ e io ho proposto di abbassare la tonalità anche di questa e di renderla qualcosa che non avremmo mai fatto con un pezzo rock’n’roll”. Hero “Dal punto di vista del testo, ‘Hero’ è stata la canzone più difficile. Avevamo la musica e la melodia da tipo due anni. Ogni volta che cercavo di metterci mano, la odiavo. Non mi veniva niente. Poi stavo leggendo di Fred Hampton del Black Panther Party e ho cominciato a pensare a tutte queste persone che sono state uccise o che, come Hendrix, sono morte accidentalmente, che hanno molto da dare o fanno così tanto in così poco tempo. Mi piace anche la storia di leggende come Bowie e Bob Dylan, che hanno creato personaggi straordinari, capaci di esercitare su di noi un’autentica ossessione. Non sai mai davvero chi sono realmente. È una cosa che mi rattrista, perché non sono in disaccordo ma so che non si tratta di me. Quindi ‘Am I a hero?’ [‘Sono un eroe?’] si chiede anche: ‘Se io faccio quella cosa, diventerò questo grande artista che tutti rispettano?’. È sempre il solito tema del non essere abbastanza”. Hard to Say Goodbye “Qui fuoriesce tutto il mio amore per Isaac Hayes, le grandi orchestrazioni, gli archi lussureggianti e gente come David Axelrod. Flo ha portato il sample di un solo accordo di una canzone di Nat King Cole e noi abbiamo giocato con la tonalità, per poi replicarlo con un ensemble di 20 archi stipati nello studio. Avevamo un contrabbasso, tutto il pacchetto, insieme a un fantastico pianista di nome Kadeem [Clarke], che suona con Little Simz, e il nostro amico Nathan [Allen] alla batteria. È stato molto divertente”. Final Days “All’inizio, non avevo idea di dove potesse stare sul disco. Pensavo: ‘È bella, ma non stravedo per questa’. Ho scritto qualche parola e ho pensato che fosse migliorata, ma che ancora mancasse qualcosa’. Mi ha sempre dato l’idea dello spazio profondo, quindi ho chiesto a Kennie [Takahashi], il fonico, se per caso potesse trovare sample di persone nello spazio. Abbiamo recuperato il suono di questi astronauti in procinto di schiantarsi, che è abbastanza dark ma dava al pezzo quell’emozione di cui necessitava. Mi dava i brividi. Poi abbiamo scoperto che si trattava di un fake, uno scherzo realizzato da un gruppo di ragazzi nell’Italia degli anni ’60 per un progetto artistico o qualcosa del genere”. Interlude (Loving the People) “‘Final Days’ suonava benissimo ma aveva bisogno di andare da qualche altra parte alla fine. Avevo una melodia al Wurlitzer, che originariamente doveva essere un pezzo strumentale da inserire per la conclusione di ‘Final Days’, in modo che terminasse in maniera completamente differente, come la navicella che atterra nella sua destinazione. Ma poi abbiamo pensato di allungarla, di aggiungere. Danger Mouse ha tirato fuori dal cilindro una campionatura di John Lewis [membro del congresso degli Stati Uniti e leader del movimento per i diritti civili], che suonava meravigliosamente e aveva un che di commovente su questi accordi. Quindi ce lo abbiamo messo”. Solid Ground “Quando tutto viene spogliato degli archi, dei suoni e degli interludi, rimango un ragazzo che sta seduto a strimpellare una canzone alla chitarra o al piano. Sentivo che l’album aveva bisogno di un assaggio di questo aspetto. Rosie ha fatto uno splendido arrangiamento e poi io l’ho finito. Erano tutti fuori da qualche parte. Quindi, ho suonato tutti gli strumenti, a parte la batteria e cose di quel tipo. ‘Solid Ground’ ha finito per essere il mio piccolo pezzo che arriva da un altro posto. Dal punto di vista del testo, parla di trovare il luogo in cui ti senti a tuo agio”. Light “Ho pensato semplicemente che ‘Light’ fosse un bel pezzo sognante per finire il disco, un barlume di luce al termine di questo grande viaggio. Una conclusione su una nota pacifica, qualcosa di positivo. Per quanto mi riguarda, la luce descrive un sacco di cose buone, ovvie come la luce in fondo al tunnel o una sensazione luminosa nel mio cuore. L’idea è che il giorno stia arrivando, un eccitante elemento di pace. Lo cerchiamo sempre”.

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